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Borgo di Sostila

Sostila è un borgo medievale risalente al XVI secolo, a 820 metri di altitudine. Si trova a monte del paese di Sirta da cui dista un’ora e mezza di cammino. E’ raggiungibile solo a piedi, percorrendo la storica mulattiera della Val Fabiòlo oppure il sentiero che parte dalla strada della Val Tartano, in circa 30 minuti.

Abitato fino agli anni 60, il borgo di Sostila è un paese sospeso nel tempo. Non si ha l’impressione dell’abbandono ma di una momentanea assenza di abitanti che però potrebbero tornare da un momento all’altro.

Molte delle case in pietra sono di origine settecentesca. La scuola elementare, chiusa nel 1958, conserva ancora l’aula con i banchi dei bambini che l’hanno frequentata. La mancanza di una strada di collegamento con i centri abitati ha fatto sì che questo borgo rurale di cultura alpina si mantenesse intatto. Così tanto da poterlo considerare un unicum in tutta la Valtellina.

La comunità viveva raccolta intorno alla chiesa della Madonna della Neve, alla cui festa di agosto convenivano anche dai paesi della bassa valle e della Val Tartano. Il sostentamento era offerto dalla natura. Innanzitutto la castagna, consumata cotta o cruda o come farina base dell’alimentazione, i frutti dell’orto e delle poche piante da frutta coltivate sui pendii. Infine gli animali da allevamento e il faggio che forniva legna da ardere.

Le architetture rurali in Val Tartano

La Valtellina è posta in un’area di confine tra sistemi radicalmente diversi che privilegiano rispettivamente l’uso della pietra e del legno. Quest’ultimo è prevalente in Valfurva, a Livigno in particolare, in alta valle di San Giacomo e in parte della Val Bregaglia in Valchiavenna. Invece la media Valtellina, sia sul versante orobico che su quello retico, vede una netta prevalenza dell’uso della pietra. Senza escludere la possibilità di un influsso culturale pastorale da altre aree alpine, questa eccezione è legata anche ad una maggiore disponibilità del legno di larice, adatto all’uso e resistente alle intemperie. Le residenze permanenti hanno struttura in pietra e malta e sono ancora rilevabili parti di edifici di origine alto-medievale. Inoltre, hanno grandi pietre d’angolo e gli arcaici portali con pietre monolitiche, sia nei piedritti che negli architravi.

La Val Tartano ha mantenuto intatto, fino agli anni ’70 del ‘900, il proprio patrimonio tradizionale di architettura contadina con linguaggi differenti tra la zona di Campo e quella di Tartano. Sono le stesse differenze che si riscontrano nel linguaggio e che sono state ben documentate nel Dizionario dei dialetti delle due comunità da parte di Giovanni Bianchini. Questa originalità non è stata fino ad oggi adeguatamente salvaguardata e il patrimonio delle dimore tradizionale è andato incontro, purtroppo, a molte demolizioni e irrimediabili trasformazioni.

In ambedue le località (a Campo e a Tartano) gli insediamenti invernali costituiscono un insediamento di valle. Non esiste un villaggio vero e proprio, accentrato, ma siamo in presenza di una rete di piccole contrade. La chiesa, con il suo recinto sacro, è situata in un luogo baricentrico e visibile da tutte le frazioni. A Campo le contrade sono dei piccoli nuclei di abitazioni in pietra, mentre a Tartano, sia in Val Lunga che in Val Corta, esse si riducono spesso a delle grandi case. Si tratta di masi abitati da famiglie allargate, poste sui dossi, al riparo dalle valanghe e dalle alluvioni del torrente. Un’altra particolarità della Val Tartano, a partire dalla metà del XVII secolo, è legata al fatto che le stalle e i fienili si diffusero con una particolare tipologia. Lo zoccolo è in muratura e la parte in elevazione è in legno con struttura a travi incastrate (tipo blockbau, nella parlata locale detto scepàda o incucadüra) e con montanti verticali inseriti in travi scanalate (a canne d’organo, nella parlata locale tapunàda o cani dè òrghegn).

Un altra specificità della dimora della Val Tartano è la presenza, anche se solo in alcune località, di un locale ad uso stüa, cioè rivestito completamente di tavole di legno, con stufa (pigna) interna al locale ma con accensione esterna, in genere in cucina. Anche questo ambiente è in genere diffuso nella dimora rurale tradizionale solo in Valchiavenna e in alta Valtellina, mentre nella media Valtellina persiste il riscaldamento con camera a fumo e focolare centrale, senza canna fumaria. Così è, per esempio, nella vicina Val Fabiòlo dove l’unica stüa è presente solo nella casa parrocchiale, anche se con accensione interna alla stanza. Due esempi interessanti di stüe con pigna in muratura in dimore rurali sono ancora oggi rilevabili in Val Corta, a La Foppa e alla Bratta, la frazione abitata più alta di quella valle. Dalle caratteristiche rilevabili sembra evidente che tali soluzioni sono adattamenti migliorativi della casa di epoca moderna (XVII – XVII secolo), in corrispondenza con la diffusione di un importante miglioramento tecnologico, la canna fumaria. Le stalle-fienili non sono sempre unite alla residenza, spesso sono edifici isolati costruiti in posizione logistica favorevole rispetto ai prati, in modo da poter facilmente essere utilizzati per la conservazione del fieno. Sopra in nuclei abitati, con una certa regolarità, al limitare del bosco, si ritrovano anche piccoli edifici, parte in legno e parte in pietra, per la custodia delle capre.

Chiesa di San Martino

A Cosio, la chiesa di San Martino, originaria del XII secolo, ha subito modifiche nel XV e XVII. Oltre a frammenti di pregevoli affreschi del Cinquecento, tele, statue e arredi dei secoli XV-XVIII, custodisce una tela con il Martirio di S. Bartolomeo, di ottima fattura. Si ritiene dipinto su un modello di un’incisione di Giuseppe Ribera detto lo Spagnoletto.

All’esterno sul fianco di sinistra sono visibili affreschi del Cinquecento che ritraggono San Sebastiano e San Martino a cavallo. In una nicchia la Madonna con due Santi ed in due tondi l’Angelo e l’Annunziata.

Via San Marco

Già Via Priula, in ricordo del governatore veneziano a Bergamo Alvise Priuli, che le realizzò per dar sbocco alla Serenissima Repubblica verso il nord Europa tramite il passo San Marco, la ripida via ci introduce nella contrada “Scimicà”. Percorrendola si possono osservare antiche abitazioni con interessanti portali che coprono un ampio spazio temporale, dal Quattrocento fino a raggiungere il pieno Ottocento. In cima alla via una casa con portico presenta un’interessante e alquanto ammalorata decorazione barocca ad affresco con al centro un grande dipinto raffigurante la Madonna Immacolata.

Teatro Pedretti

Se per il turista il nome della piazza è quello ufficiale di Enea Mattei, i morbegnesi continuano a chiamarla Cappuccini. Questo in ricordo dell’antica chiesa e del convento di proprietà dei Francescani che qui trovavano posto, istituzioni entrambe soppresse nel 1798. È proprio dallo scheletro della chiesa di San Francesco che nel 1855 si ricavò e inaugurò il Teatro Sociale. Qui si rappresentarono le più note opere italiane, mentre nel 1931 venne proiettato il primo film sonoro. La bella facciata che ancora oggi lo caratterizza è in stile neoclassico, mentre la struttura a palchi interna fu eliminata a favore dell’attuale sistemazione nel 1954 quando il teatro divenne il Cinema Pedretti. È invece dedicato ai caduti della guerra del 15-18 il monumento bronzeo opera dello scultore Zanaboni, che domina il lato sud della piazza.

Municipio

Posto nel cuore del centro storico il palazzo già della nobile famiglia dei Castelli Sannazzaro, presenta un’elegante facciata ingentilita da cornici in stucco, grate e balconi in ferro battuto di fattura settecentesca. All’interno alcune stanze conservano ancora raffinate decorazioni in stucco sette-ottocentesche. Il palazzo è dal 1837 proprietà del Comune di Morbegno e sede del Municipio.

Statua di San Giovanni Nepomuceno

Distrutto da una piena del torrente Bitto nel 1882, dell’antico ponte a dorso di mulo rimane solamente la bella statua raffigurante il Santo boemo Giovanni Nepomuceno martire della confessione. Eseguita nel 1756 dal ticinese Giovan Battista Adami, la statua si posa su un alto ed elegante piedistallo, coronato da una raffinata testa cherubica. Al centro del basamento osserviamo lo stemma della città di Morbegno costituito da una spada e due chiavi in ricordo dei protettori della città, i Santi Pietro e Paolo. Il culto di San Giovanni Nepomuceno martirizzato nel 1383, si diffuse solo dopo la sua canonizzazione nel XVIII secolo ed è invocato a protezione dalle inondazioni; si giustifica così la sua presenza sopra i ponti di mezza Europa. Nella foto la pregevole statua del Santo boemo.

Chiesa dei Santi Pietro e Andrea

La costruzione della chiesa dei Santi Pietro e Andrea iniziò nel 1675 per volontà del parroco Don Stefano Giubino ma i lavori si attuarono solo tra il 1690 e il 1703 quando era parroco Don Carlo Francesco Peregalli. I lavori vennero affidati al capo mastro ticinese Martino Adamo di Carona; dopo la sua morte i figli li continuarono. La consacrazione avvenì solo nel 1882 da parte di Mons. Carsana.

L’esterno si presenta con una grande e sobria mole affiancata da un elegante torre campanaria alta circa 30 metri inserita all’interno del perimetro del tempio. Il campanile a base quadrata termina con una struttura a base ottagonale scandita da otto elementi ad arco. La facciata si presenta come un ampio arco di trionfo ad un’unica fornace cieca in cui si collocano due registri orizzontali coronati da un grande timpano. Nel registro superiore trova posto al centro una semplice finestra rettangolare con cornice mistilinea, mentre in quello inferiore si colloca l’elegante portale in granito coronato da due anfore strabordanti di frutta. Al di sopra si trova un dipinto raffigurante i santi titolari.

L’interno è costituito da un’ampia aula rettangolare con volta a botte. Sulla navata si affacciano quattro cappelle laterali ed il presbiterio di forma quadrata. Nel corso della sua storia le parti interne hanno subito molteplici rimaneggiamenti che hanno appesantito gli apparati decorativi e stravolto il progetto originale. Le quattro vele della volta raffiguranti i Quattro Evangelisti furono ridipinte del pittore bergamasco Marigliani sostituendo altri quattro medesimi soggetti forse dipinti dal Gavazzeni, di cui si osserva al centro della volta una suggestiva Assunzione della Vergine in cielo. Lungo le pareti dell’aula si snoda la Via Crucis formata da belle incisioni settecentesche caratterizzate da una sontuosa ornamentazione.

Nella controfacciata sono inserite tre importanti tele petriniane. Le due laterali rappresentano l’intensa figura di San Pietro con i suoi simboli iconografici: il gallo, le chiavi e la piramide di Cestio. A destra è raffigurato San Giovanni Evangelista come un vecchio dormiente. La tela centrale, dipinta tra il 1704 e il 1707, rappresenta il Martirio di Gorcum in cui diciannove sacerdoti vennero trucidati. Nel corso degli anni ’90 la tela ha subito un intervento di restauro conservativo.

Chiesa di San Lorenzo

La Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo di Ardenno è documentata fin dall’anno Mille, ma l’attuale edificio sorse non prima del 1497. Le modifiche apportate lungo i secoli alle sue strutture e alle decorazioni interne ed esterne hanno però modificato non poco l’aspetto della chiesa. Furono gli emigranti che durante i secoli inviarono le somme necessarie per la manutenzione ordinaria e per i lavori di ampliamento ed abbellimento. L’importanza di questo luogo è testimoniata dal fatto che in alcuni documenti è citata, all’interno delle mura del paese, una “turris ecclesiae episcopalis” poiché qui il vescovo riscuoteva le entrate che fruttavano dai beni valtellinesi. Nel 1540 venne inaugurata la grande ancona lignea eseguita dal Del Mayno. Un importante ampliamento è invece attestato dalla data 1584 incisa sull’architrave del portale d’ingresso. Lavori di restauro si susseguirono copiosi lungo i secoli fino a giungere al XX sec.

La facciata conclusa da un timpano è scandita verticalmente da quattro semplici lesene. Inoltre, è ingentilita al centro da un portale cinquecentesco in pietra nel cui timpano si osserva una scultura in marmo bianco raffigurante la Pietà. Ai lati si osservano due finte nicchie, mentre appena al di sotto del cornicione del timpano trovano posto tre finte finestre rettangolari. La torre campanaria è di origine romanica e risulta sopraelevata e ampiamente modificata in epoca imprecisata; su di essa si osservano ancora gli archetti ciechi correre sui lati nord ed est su più registri.

L’interno appare piuttosto unitario. L’aula è coperta da un ampio soffitto affrescato scenograficamente nei primi anni del Novecento dal pittore locale Eliseo Fumagalli, autore anche dei dipinti sulla volta del presbiterio. Due cappelle e due altari posti direttamente all’interno dell’unica navata caratterizzano lo spazio del tempio. La prima cappella a destra presenta una grande tela tardo cinquecentesca che raffigura l’Incoronazione della Vergine alla presenza della Santissima Trinità, di quattro Santi e dei due committenti Parravicini in orazione. L’altare in raffinate forme barocche presenta al centro una pala sei-settecentesca raffigurante Sant’Antonio da Padova col Bambino. Di epoca rococò il delizioso pulpito ligneo. Il presbiterio è incorniciato da un grande arco di trionfo poggiante su colonne e lesene dal capitello vagamente ionico. Questo presenta al centro un semplice altare marmoreo nel cui paliotto si osserva una croce greca. Dietro all’altare appare la grande ancona lignea, tra le opere più importanti della provincia di Sondrio. Originariamente venne posta sopra l’altar maggiore per poi essere rimossa nel 1728 e successivamente riassemblata. Uscendo dalla zona presbiteriale ci si imbatte in un altare in cupo marmo nero di Varenna, impreziosito nel paliotto da un motivo a raggiera eseguito con colorati marmi policromi e da una deliziosa grata in ferro battuto. Le due colonne incorniciano una tela seicentesca raffigurante San Carlo Borromeo in adorazione del Santissimo Sacramento. L’ultima cappella è invece dedicata al culto della Beata Vergine e stupisce per la raffinata decorazione plastica in stucco, anche se oggi è assai deteriorata. Inoltre presenta al centro una nicchia, dove si osserva il simulacro della Madonna col Bambino e attorno, circondata da 15 piccoli ramini raffiguranti i Misteri del Rosario.

Chiesa di Sant’Ambrogio

Citata per la prima volta in un documento del 1350, una chiesa dedicata a Sant’Ambrogio sorgeva a Regoledo sicuramente almeno già dal IX secolo. Essa era legata alla presenza dei monaci benedettini di Sant’Ambrogio di Milano. Di questo tempio, che sappiamo essere stato ampliato nel Settecento, non rimane più nulla in quanto abbattuto nel 1919 quando la chiesa nuova era già completata. L’attuale chiesa di Sant’Ambrogio venne eretta ex-novo a partite dal 1862 su commissione della comunità parrocchiale di Regoledo. Il progetto fu affidato a Cesare Scalcini, di origini morbegnesi, che disegnò un edificio neoclassico ispirato alla basilica di San Carlo al Corso di Milano. L’orientamento era Est-Ovest e la pianta centrale ruotava attorno ad un grande ottagono, con vani aperti su ogni lato.

All’interno, il catino absidale presenta un affresco di Alberto Gavazzeni raffigurante la Glorificazione di sant’Ambrogio. Quindi nella maestosa cupola l’affresco di Cristo Re dell’universo, opera di Mario Albertella, risale al 1933. In quest’ultimo è anche interessante notare due angeli che sorreggono la bandiera del Regno d’Italia e dello Stato Pontificio, in omaggio ai Patti Lateranensi da poco siglati. Dalla precedente chiesa provengono l’altare di San Giuseppe, la tela settecentesca in esso collocata raffigurante il Transito di san Giuseppe e anche il cinquecentesco Trittico Baruta, preziosa opera lignea posta nella parete destra dell’abside.