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Pila – Passo di Tartano

Dagli anni ’70 la Val Tartano è una meta conosciuta ed apprezzata per lo scialpinismo e per le ciaspolate, ricca di itinerari classici ma che stupiscono chi li percorre, come la tranquilla salita al Passo di Tartano, sicuramente la più battuta, al Passo di Porcile un po’ più alto e panoramico, la Bocchetta dei Lupi che si collega alla Val Madre. L’esposizione a Nord della maggior parte degli itinerari è garanzia di neve di ottima qualità fino a stagione inoltrata. Numerose sono anche altre cime che meritano di essere raggiunte come la cima di Lemma, che è tra le più frequentate in assoluto anche dai bergamaschi, la Cima Dordona, il Dos Tacher e il Monte Rotondo.

Itinerario al Passo di Tartano

Itinerario: Pila (1300 m) – Arale (1485 m) – Casera di Porcile (1803 m) – Baita del Lares (m 1900) – Passo di Tartano (2108 m)

Dislivello: 808 m

Durata: ore 2.30

Si lascia l’auto al parcheggio alla frazione di Pila, dove ha inizio l’itinerario incamminandosi sulla strada della Val Lunga. Passati sotto la contrada Arale, poco più avanti, la strada compie un tornante sinistroso, dopo il quale si prende a destra il sentiero estivo per i Laghi di Porcile, lo si percorre e si passa alti sopra la baita Bianca, oltre la quale si attraversa il torrente. Dopo qualche tornante il terreno si adagia nella conca che ospita la casera di Porcile. Lasciate a sinistra le baite, si continua a salire fino alla baita del Lares, quindi si lascia a sinistra la traccia che va ai Laghi di Porcile e si procede a destra. Al successivo dosso si avvista la croce del passo di Tartano raggiungibile con un’ultima salita.

Gerola Alta – Laveggiolo

PARTENZA: Gerola Alta c/o Chiesa di S. Bartolomeo (1050 m)

ARRIVO: Laveggiolo (1485 m)

DISLIVELLO: ca. +435 m

DIFFICOLTÀ: Facile

Ciaspolata facile che attraverso i piccoli nuclei rurali di Castello e Laveggiolo permette di scoprire storia e tradizioni della Val Gerola.

In base alle condizioni della neve il percorso può essere effettuato anche senza l’ausilio di ciaspole.

Dalla piazza della chiesa di S. Bartolomeo a Gerola Alta si imbocca la via che dal retro incrocia il tracciato per località Foppa. La passeggiata è inizialmente su strada asfaltata fino al primo tornante, dove una palina in legno reca la scritta “Antiche mulattiere”. Il sentiero, dopo aver attraversato il torrente Vedrano tramite un ponticello, incontra la carrabile per pochi metri e poi risale i prati fino al nucleo di Castello (1329 m). La mulattiera prosegue oltre le case fino alla chiesa di S. Rocco per poi raggiungere Laveggiolo (1485 m).

Monte Olano

Tir Du Bur – Monte Olano

PARTENZA: Rasura, loc. Tir Du Bur

ARRIVO: Monte Olano

DISLIVELLO: ca. +449 m

TEMPO: 2 ore

Il Monte Olano, o Motta per la sua conformazione, è un pascolo panoramico sulla Bassa Valtellina: guardando a valle ci sono Morbegno e Talamona, più su la Costiera dei Cech e le Alpi Retiche con il Monte Disgrazia, il profilo della Val Tartano, poi le Valli del Bitto.

Il punto di partenza è il parcheggio in località Tir Du Bur (M 1203), uno slargo a lato della strada agro-silvo-pastorale che collega Rasura con le località più a monte.

Il percorso coincide con la strada principale fino al bivio con il cartello che indica il Rifugio della Corte, da raggiungere seguendo il tracciato.

Il sentiero, segnalato con il numero 114, sale con una certa pendenza nel bosco di abeti e da quota 1268, oltre le località Tagliate (M 1364) e Barech (M 1541). Quindi in 1 ora circa porta sul Monte Olano, a 1702 metri slm.

“ALLUNGA IL PERCORSO” → La casera di Olano (M 1792), un gruppo di baite, è a pochi minuti di ciaspole proseguendo sulla motta a sinistra, come indicato da un segnavia, in un ambiente più nascosto, racchiuso tra le montagne: la Cima Rosetta e il Monte omonimo, il Pizzo Olano e il Pizzo dei Galli.

In assenza di neve il punto di partenza è il parcheggio nei pressi del Rifugio della Corte.

Palazzo Valenti

Nel cuore di Talamona, paese orobico della bassa Valtellina, sorge un edificio di epoca rinascimentale, originariamente posseduto dalla nobile famiglia Spini; dal 1837 è di proprietà della famiglia Valenti.

L’edificio, che guarda su una piccola corte, è impreziosito da una facciata dipinta, ben visibile a chi risale la via Valenti. Se il tempo ha causato il deterioramento della fascia affrescata del primo piano, si sono invece ben conservati i riquadri dipinti in corrispondenza del secondo piano. L’identificazione del soggetto è stata resa possibile da alcuni particolari significativi emersi durante un intervento di restauro del 1999: l’ippogrifo, il castello del Mago Atlante, paladini e cavalieri, hanno consentito di riconoscerne la fonte letteraria nell’Orlando furioso. Studi successivi hanno messo in luce che i sei riquadri rappresentano episodi presenti nei primi due canti del poema e che riprendono l’edizione illustrata di Giolito de’ Ferrari, del 1542. La sequenza delle scene è coerente con la lettura dei riquadri da destra verso sinistra, punto di vista di chi si avvicina al palazzo provenendo dalla strada.

Vero manifesto degli ideali classici, l’affresco talamonese è caratterizzato da una composizione vigorosa ed armonica. Le figure color rame paiono animarsi alla luce del tramonto, mettendo eternamente in scena le avventure di Sacripante, Ferraù, Bradamante, Pinabello, Rinaldo, Angelica. La raffinatezza degli elementi architettonici classici, l’equilibrio nella scelta dei colori, la sapiente stesura dei materiali e l’originale interpretazione delle fonti iconografiche ne fanno un’opera di grande valore. L’apparato decorativo si può datare tra il 1575 e i primi anni del ‘600; l’ autore, ancora sconosciuto, fu sicuramente in contatto con le maggiori correnti artistiche e culturali dell’epoca.

Dopo l’intervento eseguito alla fine degli anni ’90, un più recente restauro ha ulteriormente contribuito a valorizzare la qualità artistica complessiva della facciata.

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La quadreria di Sacco

La Casa Parrocchiale della Frazione di Sacco, nel comune di Cosio Valtellino, venne riedificata a metà del XVIII secolo.

Attualmente ospita gran parte dei quadri appartenenti alla Quadreria di San Lorenzo. Si tratta di una collezione di dipinti che conta ben 73 tele eseguite su supporto tessile in diverse epoche tra il XVI e XIX secolo. Ventidue di queste sono collocate all’interno della Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo.

Nell’edificio della casa parrocchiale, invece, sono esposte ben 51 opere, molte delle quali provenienti dalle varie chiesette sparse per il paese di Sacco.

L’importanza di questi quadri non è tanto da ricercarsi nel loro valore artistico, quanto piuttosto nell’essere testimonianza della forte devozione dei parrocchiani del paese di Sacco.

Inoltre una parte di queste tele è ricordo degli “emigranti”, gente che ha abbandonato durante il XVII secolo la valle per cercare lavoro nei porti di Genova e Napoli. Da qui provengono le tele come la grande pala d’altare dedicata a San Lorenzo.

La maggioranza delle opere presenta una raffigurazione religiosa tipica dell’iconografia controriformata. Sono rappresentati vari soggetti: l’Immacolata Concezione, la Crocefissione, la Madonna circondata da Santi, gli ex voto e le figure dei Santi.

Le sale espositive sono state organizzate nel seguente modo: al primo piano vi è il Corridoio dei Ritratti dei Parroci di Sacco, al secondo piano la Sala dei Santi, la Sala Mariana e il Corridoio del Cristo.

C’è anche una stanza dedicata al Campanile che ospita il meccanismo e le lancette del vecchio orologio.

Attrattiva aperta al pubblico e visitabile durante le aperture programmate organizzate dall’ Ecomuseo della Valgerola e possibilità di visite extra contattando l’Ecomuseo

Il Palazzo del Podestà a Caspano

Il palazzo sorge nel borgo di Caspano, nel comune di Civo, e fu costruito intorno alla metà del sec XVI in posizione dominante sulla valle con i tratti tipici del Rinascimento.

Formato da 3 grandi volumi in pietra disposti a ferro di cavallo intorno al cortile centrale, possiede un atrio in ciottolato che rappresenta il cuore del palazzo, contornato da un portico sorretto da colonne in granito con capitelli in stile dorico.

Il Palazzo era sede del Podestà di Traona. Il piano terra serviva al movimento di milizia e contadini, il primo piano era di rappresentanza e il secondo era riservato alla residenza della famiglia. A tutt’oggi è ancora abitato.

Il portale d’ingresso in pietra, sulla chiave di volta porta incisa la data MDLX (1560)

Brochure realizzata dalla classe III A Indirizzo Turismo, dalle classi III A, IV A, V A Produzioni Tessili Sartoriali, dalla classe III A SSS Servizi per la Sanità e Assistenza Sociale dell’Istituto di Istruzione Superiore Saraceno Romegialli di Morbegno, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Gavazzeni” di Talamona.

La Culmine

La Culmine (detta “Culmen” in dialetto) è un un bastione in granito dalla forma arrotondata tra la piana di Ardenno e il conoide di Talamona la cui cima arriva a 921 m di altezza. Il panorama che si ammira dalla Culmine è imperdibile e spazia su tutta la Valtellina.

I soleggiati versanti del monte sono percorsi da diversi sentieri, percorribili tutto l’anno grazie alla felice esposizione al sole in tutte le stagioni.

Il percorso più frequentato e breve è una mulatteria che parte da Dazio. Alla sinistra del cimitero del paese inizia una pista sterrata di origine militare che porta fino alla cima in 50 minuti. Qui, durante la seconda guerra mondiale, vennero infatti edificate una casermetta ed un posto di vedetta, servite da una comoda carrozzabile, che ora è rimasta a disposizione di escursionisti e bikers.

E’ possibile effettuare anche un percorso ad anello sempre con partenza da Dazio, nei pressi del centro sportivo. Si percorre una strada lungo il prato fino a raggiungere la località Portaia. Qui si lascia lo sterrato per seguire il sentiero che sale in un bosco di betulle e superate alcune roccette si entra in un bosco di castagni fino a Legunc’. Dopo un percorso con alcuni saliscendi in un bosco di pini silvestri fino alla vetta.

Per il rientro possiamo percorrere la strada più ampia che già abbiamo visto o scendere attreverso “El senteè del Tarci”, itinerario tracciato dal CAI in memoria di una guida morta in un incidente in montagna. Questo sentiero scende ripido fino alla località Portaia dove riprenderemo il percorso sterrato utilizzato all’andata.

La Culmine è raggiungibile anche da Desco, Porcido Paniga o Campovico, tramite sentieri ben segnalati.

Bivacco Rovedatti

PARTENZA: Contrada Biorca  (Val Corta, Tartano)

ARRIVO: Bivacco Rovedatti

DISLIVELLO: +675 m

DIFFICOLTÀ: E (Escursionistica)

DURATA: ca. 1 h 45′

Per raggiungere il Bivacco Rovedatti (quota 1850 m) si possono utilizzare i seguenti sentieri:

  1. sentiero “163 Alfredo” che sale dalla Val Corta dopo la contrada Biorca (quota 1175) a Tartano (tempo 1,45 h),
  2. sentiero “delle Arene” che da Campo scende alla diga (quota 960) e poi risale (tempo 2,45 h),
  3. sentiero dalla località “La Bianca” (quota 1.245) di Talamona raggiungibile su strada agro silvo pastorale a pedaggio (tempo 2,15 h). Il sentiero allo stato attuale ha tratti di difficile individuazione per cui prestare attenzione.

L’itinerario per il Bivacco Rovedatti inizia dalla Val Corta, località Biorca a 1170 m. Sulla destra vi è un’area di parcheggio attrezzata e ben sistemata, con una grande bacheca sul Parco delle Orobie, panche e tavoli.

Ci si incammina lungo la valle e poco avanti imbocchiamo in risalita la deviazione a destra della strada e il sentiero da seguire. La strada finisce alle case agricole di Foppa, in vista delle stesse sulla destra si stacca il sentiero, si raggiunge subito una fonte lavatoio che precede le belle e antiche case di Fognini, 1300 m. Si superano un prato e un incavo scavato da un rigolo d’acqua. Quindi, lasciato a sinistra sul tronco di un albero la deviazione a sinistra, si entra nel bosco. Si sale decisi traversando la costiera verso nord alternando tratti faticosi di gradini di rocce a parti di sottobosco con una lunga serie di inversioni.

Si giunge a una larga staccionata che delimita il bosco con l’inizio dei prati dell’alpeggio Piscino. L’alpe si estende su un terreno molto pendente, quindi la traccia del sentiero si perde nel prato. Si sale ripidi in diagonale lasciando la baita della Casera Piscino e un’altra vasca con fonte d’acqua, 1682 m., a sinistra. Qui non bisogna lasciarsi invitare a proseguire per il prato fino a raggiugere la sovrastante baita, si traversa in piano piegando a destra ove su un muretto in pietra si ritrova il sentiero. Vi è la “bandierina” disegnata su un sasso del muretto, ben visibile. Si continua in un rado bosco tagliando la conformazione della costiero con un su e giù e passando da ben tre cancelletti di legno per il contenimento degli animali. Si arriva così sopra una svolta all’Alpe Pustaresc, 1714 m.

Ci si imbatte in uno straordinario piano di pascolo affacciato sulla valle che consente una vista spettacolare sul Monte Disgrazia e le cime della Val Masino. Sono presenti anche tre incisioni in legno di cui due segnalano il Sentiero delle Arene. La terza riporta la direzione verso il Bivacco Rovedatti. Bisogna scegliere se compiere un’escursione fino al Pizzo della Prugna per poi girare oppure seguire il percorso diretto. Questo si infila nel bosco sopra l’alpe e in circa 15 minuti raggiunge il bivacco. Il consiglio è di compiere l’anello.

Il Bivacco Rovedatti è una bella nuova costruzione rivestita in legno. Risulta aperta, sorge su un piccolo slargo circondato da larici al passo Mùta, a 1850 m. Attorno sono realizzati posti con panche e tavoli, sedute su pietre. All’interno tavolate destinate a posti letto stufa a legna accatastate all’esterno, tavolone e panche, alcune stoviglie.

Storia del Bivacco

Nell’agosto del 2017 è mancato nei boschi della Val Corta Roberto Rovedatti (classe 1949), per cui da lì è nata nei figli l’idea di realizzare un bivacco nella zona che potesse dare un ricordo del suo amore per la montagna e per la Val Tartano.

Attorno al bivacco, in collaborazione con il “Consorzio Pustarèsc” è stato allestito un grande parco selvatico naturale con panche e tavoloni in legno all’ombra di larici e abeti.

E in inverno…

Nel periodo invernale si può raggiungere il bivacco con le ciaspole in sicurezza unicamente da Campo passando sul ponte tibetano (tempo 2 h) a pedaggio (verificarne orari apertura). Si sconsiglia lo sci alpinismo perché la parte sciabile è modesta. Il tracciato è stato allestito dal Consorzio Pustarèsc con segnaletica specifica su piante in modo che sia visibile anche in inverno.

La Madonnetta

In maniera affettuosa i morbegnesi chiamano Madonnetta questa cappelletta posta ai piedi della montagna. Il piccolo edificio fu costruito per custodire un affresco quattrocentesco ritenuto miracoloso, la leggenda vuole che qui la Madonna si riposò prima di apparire a Tirano nel 1504.

L’interno, un tempo ricoperto da tavolette ex voto, presenta un semplice altare ligneo coronato da due figure di angeli che incornicia l’affresco miracoloso della Madonna col Bambino. I dipinti sulle volte del portico esterno, la raffaellesca Madonna con Bambino e angeli oranti dipinti all’interno del timpano sono di Giovanni Gavazzeni.

Chiesa di San Pietro

Addossata al palazzo dei Castelli di Sannazzaro, oggi è la casa comunale di Morbegno. La chiesa di San Pietro venne fondata nel 1337 per incontrare le esigenze del nuovo ceto sociale composto da artigiani e mercanti che in quella parte del borgo si era stabilito.

Fu la prima vera parrocchiale di Morbegno. Eretta da maestranze della Val d’Intelvi o della Valsolda, che progettarono un edificio di ampiezza sostanzialmente uguale a quella di oggi. La chiesa è testimone per eccellenza della storia della città. Al suo interno si tenevano le assemblee civiche, era punto di riferimento durante alluvioni o pestilenze. Nel 1559 venne assegnata al culto riformato dai Grigioni, padroni dal 1512 di Valtellina e Valchiavenna. Morbegno, benché comunità aperta e tollerante, non venne risparmiata dai moti che nel 1620 portarono all’eccidio e alla cacciata dei riformati presenti in Valtellina. Questo episodio e gli avvenimenti dei vent’anni successivi, se non impedirono ai Grigioni di mantenere il controllo sulle due valli fino alle soglie del 1800, portarono alla proibizione del culto protestante in questi territori e la conseguente riconversione di tutte le chiese riformate in cattoliche.

La chiesa di San Pietro venne già dal 1620 affidata alla Confraternita del Santissimo Sacramento, che si assunse l’impegno di ristrutturarla. Nel 1642 solo la volta doveva essere completata, nel 1669 i lavori erano finiti e la chiesa rinnovata “in forma elegante, con volta imbiancata, luminosa e pavimentata”. Al 1681 risale il fregio continuo in stucco bianco con intonaco rosa e motivi floreali. Si accede all’edificio tramite un caratteristico portale in marmo nero sormontato da un timpano spezzato che ospita un’ampia finestra. L’interno, un’unica sala scandita da tre campate con volte a botte e due cappelle laterali, presenta numerosi affreschi eseguiti ad inizio Settecento da Pietro Bianchi detto “Il Bustino”. Dell’artista sono le storie dei santi Pietro e Paolo che colorano la volta della navata.

Interessante notare come, in una chiesa dal passato riformato, molti dei temi rappresentati celebrino la Controriforma. Sulla volta della cappella destra, dedicata a Carlo Borromeo, il santo è dipinto in gloria come un “nuovo Costantino”. Accompagnato dal motto “in hoc signo vinces”, si erge a novello campione della cristianità cattolica e della Controriforma contro le eresie. L’affresco sulla volta del presbiterio rappresenta invece la vittoria della Chiesa di Roma sulla Chiesa riformata. Qui, a sinistra, quattro eretici vengono scacciati dalla Verità con lo “speculum veritatis”. Al centro la Vergine e l’Eterno glorificano l’Eucaristia, in silente polemica con le dottrine riformate. L’altare maggiore, in commesso marmoreo, proviene dall’ex convento domenicano di Sant’Antonio. Alle sue spalle, la pala d’altare ospita una tela realizzata nel 1804 da Antonio Gualtieri raffigurante l’Ultima cena con la Trinità, ad ulteriore celebrazione del mistero eucaristico.